in-certi confini
BLOG DI MAURO GERMANI
domenica 14 aprile 2024
Mauro Germani - Prima del sempre. Antologia poetica 1995-2022
martedì 13 febbraio 2024
Lorenzo Morandotti - I demoni della speranza
Lorenzo
Morandotti, I demoni della speranza,
puntoacapo, 2022
Che cos’è un aforisma se non un lampo del pensiero, un’intuizione folgorante, una visione improvvisa, o addirittura una veggenza dentro la notte, una verità che grida nel deserto? Come la punta di un iceberg, ogni aforisma nasconde un segreto sommerso, un mondo occulto, un humus profondo, un prima che è all’origine della scrittura vera e propria. Ed è questo sapere antecedente, questa premessa velata a rendere affascinante ciò che poi appare sulla pagina, nella forma lapidaria e abbagliante di un dire sentenzioso, che resta come un segno finale, un’ultima conclusione con cui il lettore deve fare i conti. Si comprende allora come la brevità aforistica non sia solo sinonimo di una concisione del pensiero, ma accurata selezione lessicale, perentorietà stilistica, associata sempre a un alone di mistero, di un non detto, di un’assenza che palpita all’ombra di ogni parola. Occorre, insomma, una notevole perizia per comporre aforismi degni di questo nome, capaci di scuotere l’intelletto e l’anima di chi legge.
È quanto, con mirabile estro, ci consegna Lorenzo Morandotti con I demoni della speranza, dopo il volume di surrealistico umor nero, nonché di suppurazioni dell’anima e smarrimenti corporali Crani e topi (ES, 2014). In questa nuova raccolta rinveniamo capovolgimenti semantici che sono sconfinamenti irregolari della parola e del senso, paradossi esistenziali che diventano irriverenti arguzie, guizzi sorprendenti della mente oltre sé stessa, e soprattutto fulminanti intuizioni relative alla scrittura e ai libri: tutti requisiti per una lettura coinvolgente, che provoca non solo l’intelligenza («L’unico delitto è rinunciare all’intelligenza»), ma anche l’anima («Date ascolto all’anima. Prima che vi distrugga»).
Ciò che Morandotti ci trasmette è una sorta di partecipazione ironica, di distacco critico eppure – a ben vedere – appassionato nei confronti dell’esistenza, della sua ambiguità e dei suoi lati oscuri e nascosti. Ed è proprio qui che si colloca, nelle sue multiformi sfaccettature, l’enigma dello scrivere, tra caducità («I libri ingialliscono come le foglie. Ma cadono più in fretta») e severa dedizione («La parola si nutre senza mani. Va alla deriva in un semplice nome. Ha bisogno di veglie, di esatte cornici»), in una tensione che è quella della vita stessa nella consapevolezza che il pericolo odierno e infernale è quello di «una babele miserabile dove ogni parola si equivale». La scrittura, pertanto, non risulta essere una dimensione separata, ma qualcosa che agisce misteriosamente in noi e oltre noi, tanto che «un romanzo può essere la cronaca di un fallimento o il movente per un delitto»; oppure «È ordine della natura o esercizio della volontà, quando muore un essere umano. Ma se capita a un libro è un sacrilegio intollerabile». Da considerare, poi, l’aleggiante ombra della morte che affiora tra un aforisma e l’altro, ora in modo esplicito e ironico («La signora con la falce, dopo l’inchino: “Permette questo ballo?”. E, sventurata, la vita risponde»), ora in maniera più sottile («Anche se il corpo è una camera d’albergo, ne restituirai la chiave una volta sola»).
Durante la lettura non si può non cogliere l’influenza, più o meno evidente, di grandi autori di aforismi come Cioran e Ceronetti, dai quali Morandotti eredita, da par suo – cioè con una vena più eccentrica, sconfinante spesso nell’assurdo o nell’umorismo macabro – non solo la tagliente nitidezza dello stile dei suddetti, ma anche un problematico afflato metafisico, nell’ineludibile scarto tra anima e mondo, tra negazione della speranza e il suo ricorrente, luminoso (o diabolico) fantasma.
Mauro Germani
mercoledì 24 gennaio 2024
Antonin Artaud - Il Pesa-Nervi. Frammenti di un diario infernale
Mauro Germani
sabato 30 dicembre 2023
Domenico Notari - I borghi invisibili
Originalità e invidiabile freschezza narrativa contraddistinguono quest’ultimo libro di Domenico Notari: quattro leggende inventate dall’autore e poi drammatizzate nei paesi campani in cui sono ambientate: Palomonte, Serre, Roscigno Vecchia e San Cipriano Picentino. Località poco conosciute in provincia di Salerno (e una di queste, Roscigno Vecchia, ormai abbandonata) che, grazie a questi racconti, diventano protagoniste di sorprendenti e particolari vicende gotiche. Infatti, come afferma Giulio Leoni nella prefazione, quello di Notari è «un gotico italiano, contaminato con alcune caratteristiche dei nostri popoli», cioè legato alla cultura e alla storia del nostro Paese.
Ed è proprio per questo che non si può non appassionarsi alle storie dei vari protagonisti. A cominciare da quella di ‘O signurino, esperto nell’arte dell’orologeria e «vero genio della meccanica», artefice di un automa che, con uno sberleffo, dà vita a una rivolta popolare. Segue poi il racconto tenero e misterioso dell’eroica e fedele cagnolona Diana, «un vecchio molosso dal manto fulvo», del re Ferdinando IV di Borbone. La terza leggenda vede invece protagonista il cavalier Mazzeo, «un giovane alto, bruno, la corporatura robusta, il giustacuore sgualcito e impolverato», che viene attratto da un ammaliante canto femminile proveniente dalle acque di un lago profondissimo e senza nome. Conclude la raccolta la vicenda del “fanciullin cortese” che, proveniente da un passato lontano, assiste e protegge, in nome della poesia e della cultura, nonché di un’umana fratellanza, un giovane destinato a diventare poi un illustre filosofo.
Domenico Notari ci restituisce l’antica memoria di questi borghi invisibili in modo vivace e accattivante, mediante un gioco sapientemente orchestrato tra storia e immaginazione, dove la fantasia diviene reale e il reale svela il suo lato nascosto e magico. Le descrizioni degli ambienti e dei personaggi creano atmosfere al tempo stesso concrete e misteriose, che ben preparano nel racconto il susseguirsi di sorprese e di colpi di scena. Ciò che risulta ammirevole è la capacità dell’autore di rendere naturale la narrazione, ossia senza alcuna forzatura, in modo che il fantastico e l’imprevedibile, il misterioso e il gotico, siano tutt’uno con gli eventi reali e storici, rappresentando così la loro verità segreta. E non è forse questa la peculiarità di ogni leggenda? Non è forse questo il fascino antico delle nostre storie popolari, dei nostri borghi in via di estinzione, eppure così ricchi di tradizioni e di misteri che chiedono di essere riscoperti, prima che sia troppo tardi?
Grazie, dunque, a Domenico Notari che con creatività e
intelligenza ci consegna queste «quattro leggende per quattro tradizioni ormai
mute», come recita il sottotitolo, impreziosite, tra l’altro, dalle belle
illustrazioni di Enzo Lauria. Queste ultime riproducono, infatti, i momenti
salienti dei vari racconti, componendo così – come in un libro nel libro – un
suggestivo graphic novel. Per tutti i motivi suddetti, I borghi invisibili è una pubblicazione che non solo ci regala, in
questi tempi bui e confusi, il piacere della lettura, ma può anche essere
definita “da collezione”, cioè da collocare in un posto speciale della nostra
biblioteca.
Mauro Germani
mercoledì 27 dicembre 2023
Igino Ugo Tarchetti: totalità infranta e dualismo (su "Racconti fantastici" e "Fosca")
C’è sempre qualcosa di incompiuto, di non detto, di segreto nei Racconti fantastici di Igino Ugo Tarchetti (1839-1869), pubblicati postumi nel 1869. Anche quando le vicende narrate sono inserite in una cornice cronachistica, non perdono mai quell’insondabilità e quel mistero che le accompagna.
Esponente non secondario della cosiddetta Scapigliatura, Tarchetti esprime con la sue opere più significative – i Racconti fantastici, appunto, e il romanzo Fosca (1869) – la ricerca inquieta e impossibile di una realtà totale dell’uomo, il quale appare sovente scisso, tormentato da un dualismo senza scampo. Ed è proprio in questa totalità infranta, smarrita, irrecuperabile che risiede il contrasto tra il reale e l’ideale e che genera i fantasmi e le invenzioni di Tarchetti. Nel perenne dissidio tra luce e ombra, tra ragione e follia, tra vita e morte, si può riconoscere lo scrittore stesso, nel tentativo sempre vano di «trovare il centro della propria anima», come si legge nelle prime pagine di Fosca.
L’uso prevalente della prima persona verbale è infatti la prova, da parte di Tarchetti, della necessità di non prescindere dalla propria esperienza e dalle proprie ossessioni; gli io protagonisti si possono così legittimamente interpretare come trasfigurazioni, più o meno fantastiche, di angosce e di aspirazioni irrisolte dentro trame sfuggenti e feroci al tempo stesso. Ciò che accade ai personaggi è in qualche modo già accaduto all’autore, il quale – uscendo da sé medesimo – narra il suo doppio oscuro, tenta costantemente il limite tra apparenza e realtà, invertendo spesso i due termini e anticipando così problematiche tipicamente novecentesche. È interessante notare, poi, come temi romantici e ideali si capovolgano talvolta nel loro contrario, ma senza una completa perdita di entrambi, perché le loro conseguenze non si dissolvono mai del tutto e sopravvivono nell’ambiguità di un vero che è sempre oltre, ossia aldilà della coscienza.
Nei Racconti fantastici risultano di particolare rilievo I fatali, La lettera U, Un osso di morto. Nel primo, due individui sono portatori di tremende sciagure, ma non si sa chi siano veramente e viene messa in dubbio la loro doppia identità. La lettera U è la straordinaria storia di un’ossessione senza scampo, che rivela in realtà quella per la scrittura: la lettera in questione assume caratteri demoniaci e il protagonista ne ha un vero e proprio orrore, dovuto soprattutto a alla sua forma, a «quella linea che si curva e s’inforca – quelle due punte che vi guardano immobili – quelle due lineette che ne troncano inesorabilmente, terribilmente le cime – quell’arco inferiore, sul quale la lettera oscilla e si dondola sogghignando – e nell’interno quel nero, quel vuoto, quell’orribile vuoto che si affaccia dall’apertura delle due aste, e si ricongiunge e si perde nell’infinità dello spazio…». Ecco che qui ritorna il tema del doppio, insieme a quello della mancanza e del vuoto. In Un osso di morto vi è invece il desiderio, da parte di uno spettro, di riappropriarsi di una parte del proprio scheletro, così come nel racconto lungo Storia di una gamba l’ossessione per la perdita dell’arto inferiore s’intreccia in una storia in cui malinconia e amore, pietà e amicizia sfidano i loro stessi limiti e si aprono verso territori ignoti e pericolosi.
Il pericolo, infatti, è sempre in agguato nelle storie di Tarchetti,
nelle quali avvengono capovolgimenti continui e improvvisi, che la semplice
ragione non riesce a controllare. È il caso del romanzo Fosca dove assistiamo a un singolare gioco di specchi sul tema
dell’amore, tra momenti idilliaci, menzogne, e inquietanti passioni morbose. Le
due donne della vicenda, la luminosa Clara e la tenebrosa Fosca,
s’impadroniscono, a loro modo, della vita di Giorgio, il protagonista, ma
entrambe sono segnate da un’impossibilità:
Clara ha un marito; Fosca, invece, è di una «bruttezza orrenda» ed è gravemente
malata. La passione folle che quest’ultima prova per Giorgio sarà fatale per
entrambi: il malessere della donna (la sua non è solo una malattia fisica, in
quanto ella è anche divisa in se stessa, e appare spesso duplice), e il senso
di morte si accompagnano ad un amore vampiresco che non potrà che travolgere l’esistenza
del protagonista, il quale scoprirà di essere comunque attratto dalla donna. Qui il dualismo di Tarchetti è ancora più accentuato e non trova
pace; di questo Fosca è la
testimonianza più autentica e drammatica.
Mauro Germani
martedì 7 novembre 2023
Vocazione letteraria
domenica 29 ottobre 2023
CORSO DI LETTERATURA ITALIANA
UNIVERSITA' DELLA TERZA ETA' DI BRESSO
"LO SPIRITO INQUIETO DEL PRIMO NOVECENTO"
Sede del corso e Segreteria UTE: Via San Giacomo, 10/12 Bresso (MI) - Tel. 0297107775