domenica 11 dicembre 2011

CINEMA E PENSIERO - I SOLITI SOSPETTI

CINEMA E PENSIERO
a cura di
ANGELO CONFORTI

Da oggi il blog inaugura un nuovo spazio dedicato al cinema e al suo rapporto con il pensiero.
Le riflessioni, a cura di Angelo Conforti, riguarderanno sia film del passato che recenti.



Psicoanalisi, postmodernità e nichilismo nel cinema di Hollywood: I soliti sospetti di Bryan Singer (1995)

Hollywood ha elaborato il più complesso e articolato sistema mitologico dell’età contemporanea e vi trova una delle sue massime rappresentazioni narrative l’archetipo dell’Eroe (cfr. C. G. Jung, L’uomo e i suoi simboli: “Il mito dell’eroe universale […] si riferisce sempre a un uomo potente o a un uomo-dio che annienta le forze del male materializzate in dragoni, serpenti, mostri, dèmoni e così via, e che libera il proprio popolo dalla distruzione e dalla morte”).
Tuttavia, nel corso del tempo, all’inizio degli anni ’60, si era delineato un fenomeno nuovo, con la “riduzione dell’individuo eccezionale a termini di normalità e anonimità” (Franco La Polla, Il nuovo cinema americano, 1978), “il classico antieroe della narrativa d’origine ebraica [...]. Incerto, insicuro, pauroso, dimesso, disorientato, in balia di forze e persone più grandi di lui, a questo personaggio nulla è chiaro se non la propria impotenza davanti alla vita, alla società, agli affetti, al successo. […] Fallito a priori, born loser, egli è l’immagine tipica dell’uomo anonimo prodotto dalla società dell’industria […]” (La Polla, Il nuovo cinema americano, 1978). Questo tipo di personaggio integra nella propria psicologia un altro archetipo junghiano, quello dell’Ombra (“Ognuno di noi è seguito da un’ombra. Meno questa è incorporata nella vita conscia dell’individuo tanto più è nera e densa”, C.C. Jung, Psicologia e religione), quella parte più oscura della personalità umana che di solito viene proiettata dall’Eroe senza macchia e senza paura fuori di sé, nel suo antagonista.
Al culmine del processo di questo processo di dissoluzione dell’Eroe, tutt’altro che omogeneo e lineare, si può trovare uno sviluppo ulteriore e in qualche modo definitivo di tale evoluzione. Ne è un esempio particolarmente paradigmatico un film uscito 15 anni fa che ha avuto un certo successo di pubblico e critica. Si tratta di The usual suspects (“I soliti sospetti”) di Bryan Singer, con Kevin Spacey, Chazz Palminteri e Gabriel Byrne, 1995.
L’importanza teorica del film consiste nella piena consapevolezza con cui la figura dell’Eroe viene rovesciata e identificata con l’Ombra. La voce narrante della vicenda è Roger “Verbal” Kint (Spacey), lo storpio, il ladruncolo di mezza tacca, come lui stesso implicitamente si definisce fin dall’esordio, per contrasto rispetto ai veri delinquenti con cui si è trovato casualmente associato. Il detective (Palminteri) che lo interroga vuole scoprire l’identità di un misterioso delinquente che dirige gran parte delle attività criminose di molte gang, il leggendario e fantomatico Keyser Soze.
Il guaio è che Kint è un narratore inattendibile che ha costruito l’intera sua narrazione mettendo insieme nomi ed eventi ispirandosi agli appunti su un pannello dell’ufficio di polizia (forse basandosi su un fondo di verità, ma è molto difficile capire in quale misura, al punto che la verosimiglianza di quasi tutta la sua rievocazione vacilla, trascinandosi dietro gli stessi concetti di Vero/Falso, Realtà/Apparenza, ecc.). Egli è anche uno sguardo narrativo inattendibile perché la vicenda ci è stata “mostrata” alterata dalla sua ricostruzione ingannevole.
Alla fine, lo spiazzamento del sistema d’attese dello spettatore è completo, fondato com’è su una sorpresa che scioglie la suspense in modo talmente anticonvenzionale da rovesciare qualunque codice narrativo consolidato, con un coup de théâtre ironico e paradossale, che affascina, stupisce e diverte nello stesso tempo: Kint, una volta rilasciato, assumerà le sue vere sembianze, quelle di Keyser Soze!
Nella memorabile sequenza finale, lo storpio, allontanandosi lungo la strada, ritrova per incanto l’uso dell’arto offeso e della mano anchilosata: si erge in tutta la sua statura, anche “morale”, il suo sguardo si accende, i suoi abiti neri di colpo lo fanno coincidere con la descrizione della nera figura di Soze.
Dietro la maschera dell’anti-eroe normale e quotidiano ora non si nasconde più un Super-Eroe votato al bene (come nel caso di Clark Kent / Superman), ma una sorta di Super-Eroe dell’Ombra, in cui vengono esaltati con tutti i mezzi della “mitologia” religiosa (metafore diaboliche e infernali: il piede deforme, i richiami al Principe delle Tenebre e al Diavolo, le fiamme che punteggiano l’intera vicenda/prologo e la sequenza della prima apparizione, climax narrativo nella “leggenda” di Keyser Soze, epilogo) gli aspetti negativi e più oscuri della personalità umana, sublimati in positivo. Kint/Soze, il delinquentello sotto interragotorio, impacciato e insicuro, si rivela come il vero Protagonista narrativo, che supera tutte le prove, dimostrando le competenze necessarie, e si ricongiunge con il valore cui aspira: la libertà dell’anonimato e della clandestinità che gli permette di continuare ad operare indisturbato, il Segreto della Tenebra, che si oppone assolutamente alla Luce della Verità, troppo tardi intravista dal detective, svelando il rebus costruito dal suo astutissimo avversario (non è irrilevante osservare, forse, che Kint/Soze, ottimo conoscitore degli abissi della psiche umana di cui è una materializzazione, ha messo in atto la stessa logica simbolica che presiede alla struttura del sogno, ricomponendo un discorso apparentemente consequenziale con brandelli di realtà prelevati da altri contesti, e attribuendo ad essi, per spostamento e per condensazione, un significato del tutto diverso).
Al termine della lunga evoluzione storica che abbiamo tratteggiato a grandi linee, il ribaltamento dello stereotipo è completo e insieme dialetticamente confermato: ormai è l’Ombra che si erge ad Eroe, in quanto è su Soze che si catalizza l’identificazione dello spettatore, non solo come protagonista visivo che occupa il centro dell’inquadratura, non solo come personaggio che si rivela vincente ed ha la meglio contro tutte le avversità, non solo come detentore della parola e dello sguardo che inganna tutti gli altri personaggi, e con loro anche noi che guardiamo il film, ma soprattutto come centro psicologico e assiologico del testo: non si può che provare ammirazione per questo genio che ci ha preso in giro per più di un’ora e mezza, per questo abile regista di raggiri, truffe e delitti che trionfa su tutto e tutti.
Il mondo messo in scena da Bryan Singer è il mondo della postmodernità giunta alla sua pienezza e pronta alla propria dissoluzione, priva com’è di veri Eroi e popolata soltanto di anti-eroi. In questo mondo di quotidianità anti-eroica solo l’Ombra più oscura e mostruosa, la componente più irrazionale e selvaggia dell’uomo e della natura, lo stesso inafferrabile Principe delle Tenebre fattosi carne, il Diavolo in persona, raggiunge quel livello di fascinazione, sia pure spiazzante, paradossale e profondamente ironica, eppure seducente, che nessun Eroe aveva mai potuto conseguire e nessun anti-eroe aveva mai potuto adeguatamente confutare.
Nell’era della fine dei grandi Miti che pretendevano di organizzare la storia e l’esistenza umana, di dare un senso compiuto e ordinato agli eventi, tra le piccole circoscritte sub-mitologie quotidiane della condizione postmoderna, proprio tra le pieghe del paradosso ironico, generato dalla profonda consapevolezza che tutto diviene e le fedi nell’Essere e nella Verità sono definitivamente tramontate, si erge l’unico possibile mito ancora credibile, il Mito dell’Ombra, l’Archetipo del Caos sovrano che sbeffeggia ogni illusorio Macro o Micro-Cosmo, la nera figura del Nulla eterno in cui tutto precipita. È l’ultimo beffardo sberleffo che si concede la nostra civiltà profondamente malata di nichilismo, nell’estrema e tardiva presa di coscienza delle proprie vane costruzioni morali e metafisiche. Infine, se “il delinquente è il genio costretto ad operare nelle condizioni più sfavorevoli” (Nietzsche, 1889), l’Übermensch che si fa beffe del moralismo più becero, anche se le circostanze lo costringono ad affermare se stesso in un conflitto cruento con la mediocrità del gregge (anziché poter porre se stesso al di là del bene e del male nel senso più pieno e vitale della parola), Keyser Soze è la più perfetta incarnazione di questo tipo di oltre-uomo che rifiuta il nichilismo passivo degli addomesticatori di uomini e delle loro plebi di servi, ma non ha altra possibilità che esprimere nella trasgressione estrema e criminale la propria potenzialmente “sana” volontà di potenza.

      ANGELO CONFORTI è
professore di filosofia e storia, impegnato nella sperimentazione di nuovi contenuti e metodologie didattiche,
autore dell’E-book di testo per il Triennio degli Istituti secondari di secondo grado Percorsi della filosofia, edizioni Garamond didattica digitale (www.garamond.it),
coordinatore di Scuola Democratica, libera associazione di insegnanti per una scuola pubblica, laica e pluralista,
vicepresidente dell’Associazione Europea di Psicoanalisi,
presidente del Circolo cinematografico «La notte americana» (FIC),
ha collaborato per oltre vent’anni alla rivista di cultura cinematografica Cineforum e a volumi sulla cinematografia mondiale,
ha pubblicato numerosi saggi e articoli sui seguenti argomenti: semiotica dei linguaggi audiovisivi, didattica dei linguaggi audiovisivi, cinema, filosofia e psicoanalisi.