lunedì 12 dicembre 2011

Cinema e pensiero - Whatever works

17/12/2010
CINEMA E PENSIERO
a cura di
ANGELO CONFORTI


Poster Whatever Works - Basta che funzioni  n. 1
L’amore e il cieco destino che governa l’universo: Whatever Works - Basta che funzioni di Woody Allen (2009)
 
Basta che funzioni di Woody Allen (una scoppiettante commedia, perfetta nella sceneggiatura e nelle memorabili battute) sembra il contraltare ironico e un po’ cinico del film di James Gray, Two lovers, di cui ho parlato nel precedente intervento. Il protagonista di Gray è convinto che l’amore sia ciò che dà senso a tutto e la chiave della felicità. È anche certo di aver trovato l’unico essere dell’universo che può dar significato alla sua esistenza. Ma proprio quando la vera vita è ad un passo, il destino gli gioca la sua beffa crudele, sottraendogli ciò che gli aveva fatto sperare.
Proprio il Destino cieco e casuale, con i suoi imprevedibili intrecci e beffardi inganni, è il tema che svolge anche il film di Allen che sembra attribuire alla felicità e all’amore lo spessore delle dolci ma vane illusioni, ingenuamente nutrite dalla nostra presuntuosa specie.
Il protagonista, Boris, è un fisico di alto livello ora in pensione. Ha sfiorato il Nobel, ha insegnato alla Columbia University ed è uno dei massimi esperti di meccanica dei quanti e teoria delle stringhe. Ha tentato il suicidio e divorziato dalla moglie. Ipocondriaco e misantropo, nutre un esplicito disprezzo per la maggior parte degli altri esseri umani, “vermetti” chiusi nel loro piccolo mondo di sogni e illusioni, privi della “visione d’insieme” che Boris si vanta di possedere e che nemmeno tra i suoi amici intellettuali è presente. Non a caso, oltre a far parte della vicenda narrata come personaggio, si pone anche al di fuori di essa, come narratore in prima persona che si rivolge direttamente agli spettatori, commentando dall’esterno, con distacco e lucido senso critico, se stesso e il mondo in cui vive (la New York contemporanea, il paradigma geo-culturale della postmodernità).
Le capita in casa la bella e giovane Melody, una miss di provincia fuggita dal Mississipi in cerca di gloria nella Grande Mela. La sopporta, la istruisce sulla teoria del caos e sulla vanità dei tradizionali valori umani e infine la sposa. Ma “il destino bussa alla porta” ed arrivano prima la madre e poi il padre di Melody a scombinare la loro anomala unione e mettere in moto un complesso intreccio di eventi e destini personali, in cui ciascuno scopre una nuova identità e avvia nuove relazioni. Melody si innamora di un giovane attore e lascia Boris, che si getta dalla finestra. Il tentativo di suicidio fallisce di nuovo: Boris, infatti, per l’ennesimo gioco del Caso, cade su una bella medium, che lo salva ma si rompe una gamba. Con lei inizierà una nuova relazione. Tutti i personaggi si ritrovano insieme nella sequenza finale, a festeggiare il Capodanno in un falso lieto fine di cui solo Boris (che si rivolge di nuovo a noi spettatori) è consapevole.
Il confronto con il film di Gray e, dunque, tra i due autori di cultura ebraica è particolarmente interessante.
Anche lo sguardo di Gray è disincantato, perché non si identifica totalmente con quello del suo personaggio, di cui mette in scena la cocente disillusione. Il suo protagonista, infatti, ha trovato la donna perfetta di cui avrebbe voluto prendersi cura per sempre e subito l’ha persa, perdendo così anche l’amore e la felicità. Anche per Gray la vera vità è un’illusione e l’unica alternativa è la semplice sopravvivenza.
Il personaggio di Allen (lo straordinario cabarettista ebreo Larry David) è, invece, il suo perfetto alter ego. Per lui, come per il regista, la vera vita non può esistere, solo la sopravvivenza è già un grande regalo del cieco e casuale destino che governa il buio universo, in cui ci illudiamo di avere ancora una parte privilegiata: l’amore e la felicità, estreme forme, ormai residuali, del cocciuto antropomorfismo con cui abbiamo sempre preteso di descrivere la realtà, sono smascherate da coloro che sanno bene quanto l’indeterminazione (“l’osservatore influenza l’esperimento”) regni sovrana nel caos cosmico.
Entrambi i film si chiudono su una festa di Capodanno in cui un’ingenua e insensata allegria maschera il grigiore e il vuoto dell’esistenza quotidiana, nutrita di falsi miti e di vane illusioni. La regola aurea fondamentale della sopravvivenza è quella che Boris ripete costantemente: “basta che funzioni”, basta che si riesca a “rubare” al destino qualche transitoria soddisfazione: questo è l’unico surrogato possibile della felicità.
Angelo Conforti